Omelia dell’Arcivescovo Mons. Antonio Cantisani Cattedrale di Squillace, 21 marzo 1987

Avevamo pregato, avevamo sperato. Ma il Signore nei suoi disegni e i suoi disegni sono sempre disegni d’amore – aveva disposto diversamente, e ieri notte ha chiamato a sè il nostro carissimo don Domenico dicendogli: «Vieni servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore». E ora noi siamo qui per far sentire al fratello Paolo, agli altri due fratelli, alle sorelle e a tutti i familiari, specialmente a chi ha accudito con tanto amore don Domenico, la nostra più profonda partecipazione al loro dolore. Ma siamo qui anche per cantare. Piangiamo ma cantiamo: e cantiamo il magnificat o, per essere più precisi, ci uniamo al magnificat che da ieri notte il carissimo don Domenico – posso chiamarlo anche così – sta cantando al Signore e canterà per tutta l’eternità: un Magnificat di ringraziamento non solo per il dono che il Signore ha fatto alla Chiesa e al mondo del sacerdozio di don Cirillo, ma un magnificat di ringraziamento per la fedeltà davvero entusiastica con cui don Cirillo ha vissuto il suo sacerdozio. Così, con molta semplicità, io mi permetto di applicare a don Cirillo quella espressione che la prima volta ho usato per il Venerabile Domenico Lentini, un santo del mio paese: sacerdote davvero esemplare, è stato «prete – prete». Ecco vorrei dire come disse Pio XI°: «prete – prete, Sacerdos sine adiunctis». E perchè dico questo? Dico questo perchè don Cirillo è stato un pastore zelante, ricco davvero di spirito apostolico. Parroco – e tutti sappiamo che forse l’esperienza del parroco è la più totalizzante – parroco ad Ursini, a Cardinale e poi – 35 anni, mi pare o qualcosa di più- a Squillace. Parroco preoccupato di una sola cosa: portare le anime che il Signore gli aveva affidato alle sorgenti della verità e della grazia. Ma quanti ministeri ha svolto il carissimo don Domenico nella Chiesa di Dio in Squillace ! Per cui, fratelli e sorelle care, devo dire che umanamente parlando, dico umanamente parlando, siamo davvero più poveri. Ha fatto il Rettore del Seminario, il Segretario della Curia, il Direttore dell’ufficio amministrativo. Ma io voglio ricordarlo in modo particolare come l’annunziatore del Vangelo. Ecco, il predicatore: il predicatore che sapeva affascinare, non solo perchè annunziava Gesù Cristo, ma perchè sapeva annunziarlo con la passione, col fremito dell’apostolo. Pastore ardente, e, poi prete – prete perchè padre buono. Sì, don Cirillo ha vissuto davvero il mistero del prete, di quest’uomo che è chiamato a rinunziare ad una paternità umana per partecipare più pienamente della paternità di Dio, una paternità che non ha confini: ed ecco don Cirillo, il pastore e il padre buono, comprensivo e accogliente, che davvero sa condividere la sorte della sua gente. Mi consentirete di chiamarlo così, con molta spontaneità, come mi può dettare il cuore in questo momento: lo posso chiamare uno dei preti più popolari che io abbia conosciuto nella mia esistenza. Ma «popolare» nel senso più bello della parola: davvero prete – prete perchè uomo del popolo, consacrato a far felice la gente che il Signore gli aveva messo vicino. Voi sapete che del popolo, Don Cirillo ha saputo scoprire le ricchezze interiori; ha saputo evidenziarle, queste ricchezze, ha saputo valorizzarle. Si, proprio scoprendo, evidenziando, valorizzando della nostra gente di Calabria quella pietà che è fede genuina, quella pietà che è una delle nostre ricchezze più autentiche, quella pietà che in ogni ipotesi è la via più sicura per una autentica evangelizzazione. Mi pare che, questo, don Cirillo ha potuto farlo anche per un altro motivo: prete – prete, perchè maestro illuminato. Maestro perchè ha saputo davvero guidare le anime – scusatemi se dico tutte le anime che a lui si avvicinavano – a dare un significato alla loro esistenza. Sì, un saggio secondo la Bibbia. Ecco perchè continuo a dire che è profonda la nostra sofferenza: perchè anche nella nostra Chiesa – i confratelli mi consentano di dire così – stanno scomparendo queste figure, posso dire anche “personaggi”, questi saggi che sono anche il nostro vanto-come mi dicevano questa mattina dei bambini – e il nostro orgoglio. Tanto più c’è riuscito ad essere maestro, il caro don Cirillo, perchè è stato uomo di cultura anche nel senso più tecnico della parola. Attento: attento soprattutto alla storia. Ricordo le ricerche su Cardinale, su Soverato, su Squillace, ed è bello pensare a questo prete che è stato così attento alla storia, a questo prete che ci ricorda che solo chi ha memoria del passato può essere capace di progettare il futuro. Io ho visto sempre così don Cirillo, come colui che fino all’altro giorno pensava a quello che doveva fare: e i miei carissimi presbiteri sanno che io ripeto molto spesso che un prete è prete nella misura in cui ha quella che io chiamo «l’inventiva pastorale».Si prete – prete perchè pastore zelante, perché padre buono, perché maestro illuminato, ma, fratelli e sorelle care, don Cirillo è stato prete – prete soprattutto perché testimone di fede. Il prete Gesù Cristo deve annunziano soprattuto così, con la sua esistenza: per essere più precisi, il prete deve annunciano con la gioia della sua esistenza. E mi darete ragione se io penserò sempre così a don Cirillo: come il prete felice, al prete realizzato, al prete che non si stancherà mai di ringraziare il Signore di questa mirabile vocazione a cui aveva voluto chiamarlo. Sì, lui poteva dire davvero quello che è scritto in un famoso testo di testimonianze: «Il Signore, io l’ho visto. L’ho visto attraverso l’esperienza, l’esperienza feriale se volete, l’esperienza autentica della fede, e ora ve lo annunzio». Ecco, questa fede don Cirillo ce l’ha testimoniata specialmente in quest’ultimi tempi con la sua malattia: lo avete visto anche voi sempre così sereno, sempre abbandonato alla volontà di Dio. Davvero il prete che tante volte ha offerto al Padre l’Ostia Santa per la salvezza del mondo – e mi pare che fino ad un giorno prima della morte don Cirillo ha voluto celebrare – ma anche il prete che è diventato l’Ostia bianca e pura che si lascia immolare dal Cristo sacerdote per la salvezza del mondo intero. La preghiera fu davvero il  suo respiro, e l’abbiamo visto come pregava in questi ultimi tempi: ecco, la sua occupazione principale, davvero l’opus Dei era la preghiera. Proprio perchè, testimone della fede, fratelli cari, non posso fare a meno di ricordare che questo pastore zelante, questo padre buono, questo maestro illuminato, è stato innamorato della Madonna. Non so usare un’altra espressione più bella. Certo don Cirillo l’ha amata davvero la Madonna, l’ha amata con affetto filiale, valorizzando, tanto tra l’altro, il Santuario della Madonna del Ponte, perche aveva capito che la devozione a Maria – devo dirlo specialmente quando ci apprestiamo a celebrare l’Anno Santo Mariano che lui avrebbe voluto celebrare davvero con tanta creatività – e adesso celebrerà nel cielo – quando è ricca di affetto, è la via più sicura che porta a Gesù Cristo, l’unico mediatore, l’unica risposta a tutti perché dell’uomo e della storia. Ebbene fratelli e sorelle carissime, io ho visto don Cirillo l’altro ieri pomeriggio e credo che sapete l’ultima preghiera che ha fatto con il suo Vescovo, l’ultima sua parola: ci siamo rivolti insieme alla Madonna e abbiamo detto”Madre mia, fiducia mia”. Ed io sono sicuro ho il diritto di dire cosi: “sono sicuro”che Maria l’altra notte gli ha mostrato il volto beatificante del suo Figlio. Non vi sembra strano che io vi dica che ricorderò don Cirillo soprattutto in questa Chiesa Cattedrale: lo ricorderò mentre durante la veglia pasquale cantava l’exultet come sapeva cantare lui, con quella voce baritonale, con quella voce calda cantava il famoso preconio pasquale, cantava l’imminente resurrezione, la resurrezione del Signore che poi durante la Veglia Pasquale con tanta fede viveva nel mistero. Ecco questa Pasqua che don Cirillo ha annunciato con tutta la sua vita ora la gusta nella più piena realtà della visione beatifica. Ecco perché umanamente parlando piangiamo, ma siamo certi che ora che è più vicino a Gesù sarà più vicino a noi. Sarà più vicino alla sua direttissima famiglia che anche in nome di don Domenico terrà alta la fiaccola della fede. La fede ha contraddistinto questa famiglia, e questo lo dico perché solo da famiglie così possono venire vocazioni di speciale consacrazione, possono venire fuori ragazze e ragazzi che si realizzano dando tutto a Cristo per essere totalmente dei fratelli del mondo intero. Sarò più vicino don Cirillo ora che è più vicino a Gesù a tutte le anime, devo dire alle migliaia di anime che ha guidato nella via della verità e della grazia, soprattutto ai fedeli di Cardinale e Squillace. Ma fatemi dire che sarà in modo particolare vicino al Vescovo e ai presbiteri di questa chiesa, ai presbiteri che volevano tanto bene a don Cirillo, ai presbiteri che a don Cirillo volevano tutti bene, e ora vedo qui tanto numerosi. In questi giorni vivo un  momento particolare sofferto della mia esistenza di vescovo, perché, lo sapete, in questo anno 1987 don Cirillo è il terzo sacerdote che il Signore chiama a se, ho celebrato le esequie di un altro sacerdote mercoledì mattina. Ebbene proprio per questo, perché so l’affetto e la devozione di don Cirillo per il Vescovo dico affetto e devozione, ma dico poco: qualcosa di più vorrei dire proprio per questo io voglio esprimere la certezza che il carissimo don Cirillo saprà ottenere dal Signore per questa Chiesa soprattutto tanti e santi sacerdoti, sacerdoti che prendono il suo posto, sacerdoti che con la gioia dell’esistenza sappiano gridare al mondo che non c’è avventura d’amore più bella di questa: consacrare se se stessi per la salvezza di tutti. Così sia. (Il testo è stato ripreso dalla registrazione magnetica da Carlo Mauro)

 

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